- Demenza senile
- Epidemiologia
- Classificazione delle demenze
- Malattia di Alzheimer
- Malattia a Corpi di Lewy Diffusi (LBD)
- Demenze Frontotemporali (FTD, PPA, Malattia Di Pick, PSP, CBD)
- Demenze Vascolari
- Altre Demenze
- Decalogo dei sintomi di allarme per la malattia di Alzheimer
- Basi genetiche della malattia di Alzheimer
- Diagnosi della malattia di Alzheimer
- Esami e test diagnostici
- Neuroimmagini
- Terapie ed assistenza alle demenze
- Trattamento farmacologico della malattia di Alzheimer
- Trattamenti sperimentali nella malattia di Alzheimer
- Assistenza nella malattia di Alzheimer
La demenza è caratterizzata da deterioramento intellettivo con concomitante declino dell’indipendenza delle funzioni sociali od occupazionali quotidiane con perdita di autonomia e dell’autosufficienza. Secondo i passati criteri diagnostici, la cui sintesi è raccolta nel manuale statistico dei disturbi mentali (DSM), la demenza veniva definita tale, in presenza di un interessamento della memoria insieme almeno ad una delle altre facoltà intellettive denominate appunto funzioni cognitive (DSM-IV). Tale definizione si adatta soprattutto alla Malattia Di Alzheimer, che rappresenta la forma più frequente. Più recentemente ed alla luce della maggiore conoscenza di altre forme di demenza, come ad esempio quelle fronto-temporali ove non necessariamente è presente all’esordio il disturbo della memoria, si parla oggi più propriamente di demenza in seguito al riconoscimento dell’incapacità a svolgere le proprie attività lavorative e/o domestiche (DSM-V) (L.S. Hoing 2016). Il paziente con demenza va differenziato dalle forme di deterioramento cognitivo minore (MCI) in cui, pur essendoci una difficoltà nelle proprie attività quotidiane occupazionali, sociali o di cura della propria persona, non vi è una incapacità funzionale tale da necessitare di assistenza per attività di vita quotidiana, come lavarsi, preparare i pasti, fare compere o svolgere lavori domestici. Queste persone potrebbero nel tempo sviluppare un demenza ma anche mantenersi stabili. Pertanto il criterio della evolutività dei disturbi è un criterio importante per completare la diagnosi. Storicamente si è parlato anche di demenza presenile (esordio prima dei 65 anni) e di demenza senile (dopo i 65 anni) in particolare riferendosi al primo caso segnalato nel 1906 dallo psichiatra e neuropatologo tedesco Alois Alzheimer che aveva notato nel 1901 un’inusuale demenza in una paziente di 51 anni, Augusta D. La malattia di Alzheimer fu denominata tale più tardi nel 1910 dallo psichiatra Emil Kraepelin. Queste forme si è visto in seguito essere meno comuni ed aventi una forte componente genetica, mentre è oggi statisticamente dimostrato che il fattore di rischio maggiore della malattia è l’età.
Epidemiologia:
La demenza è in crescente aumento nella popolazione generale ed è stata definita secondo il Rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e di Alzheimer Disease International una priorità mondiale di salute pubblica. Nel 2010, 35,6 milioni di persone risultavano affette da demenza con stima di aumento del doppio nel 2030, del triplo nel 2050, con 7,7 milioni di nuovi casi all’anno (1 ogni 4 secondi) e con una sopravvivenza media, dopo la diagnosi, di 4-8-anni. Il maggior fattore di rischio associato all’insorgenza delle demenze è l’età. Si prevede che queste patologie diventeranno, in tempi brevi, uno dei problemi più rilevanti in termini di sanità pubblica. Il sesso femminile rappresenta un importante fattore di rischio per l’insorgenza della demenza di Alzheimer, la forma più frequente di tutte le demenze (circa il 60%). La prevalenza della demenza nei paesi industrializzati è circa del 8% negli ultrasessantacinquenni e sale ad oltre il 20% dopo gli ottanta anni. In Italia, attualmente il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre 1 milione (di cui circa 600.000 con demenza di Alzheimer) e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nella loro assistenza, con conseguenze anche sul piano economico e organizzativo. (Dati Istituto Superiore di Sanità 2018)
Classificazione delle Demenze (L.S. Hoing 2016):
- Malattia di Alzheimer: 65%-85% dei casi
- Malattia a Corpi di Lewy Diffusi (LBD): 15-30% dei casi
- Demenze Fronto-Temporali: 5%-10% dei casi
- Demenze Vascolari: 2%-10% dei casi
- Altre 5%-10%
Malattia di Alzheimer (AD):
Si presenta all’esordio soprattutto disturbo della memoria, linguaggio, disorientamento. E’ la forma più frequente di demenza: 65%-85% dei casi. Strutturalmente è caratterizzata dalla degenerazione ed atrofia delle aree corticali temporali e parietali con deposito in placche di una proteina neuronale detta beta-amiloide ed in misura meno specifica di un’altra proteina detta Tau iperfosforilata all’interno di grovigli di strutture dette neurofibrille. Il deposito di beta-amiloide come elemento anatomopatologico caratterizzante fa si che si parli della malattia Alzheimer anche come di una “amiloidopatia”.
Malattia a Corpi di Lewy Diffusi (LBD)
È la seconda forma più frequente di demenza (15-30% dei casi), che si associa in genere a precoci sintomi motori di tipo parkinsoniano, allucinazioni e fluttuazioni delle prestazioni cognitive soprattutto per quanto concerne l’attenzione e le capacità di calcolo, in misura minore la memoria e l’orientamento come succede all’inizio nella malattia di Alzheimer. A volte può essere confusa nelle fasi iniziali per una malattia di Parkinson, ma la comparsa entro un 1 od al massimo 5 anni dall’esordio di sintomi di demenza e presenza di allucinazioni precoci la differenziano da quest’ultima. Degenerano in particolare le strutture cerebrali della corteccia parietale ed occipitale e si riscontra all’interno, delle cellule sofferenti una proteina di scarto detta alfa-sinucleina. Per tale motivo si parla anche della malattia a Corpi di Lewy come di una “alfasinucleinopatia”
Demenze Frontotemporali (FTD, PPA, Malattia Di Pick, PSP, CBD)
E’ un gruppo eterogeneo di demenze con marcata degenerazione delle aree corticali frontali e temporali del cervello. Hanno un esordio più precoce rispetto alle altre forme di demenza comparendo nel 5-10% dei casi intorno ai 50 anni. Sintomi caratteristici d’esordio sono legati disfunzione dei lobi frontali come cambiamenti di carattere, apatia, disinibizione, idee ossessive. Nella afasia progressiva primaria (PPA) il principale sintomo all’esordio è un problema di linguaggio con rapida e progressiva incapacità ad esprimersi. Nella PSP e CBD sono presenti all’esordio anche rallentamento motorio e tendenza alle cadute; nella prima inoltre è caratteristica la fissità nello sguardo verticale (paralisi di sguardo) e nella seconda la perdita della capacità d’uso in genere di un braccio, per lo più il sinistro. La patologia molecolare di questo gruppo può essere divisa in quelle che coinvolgono la proteina Tau (Taupatie)(Malattia di Pick,PSP,CBD) e quelle coinvolgenti la proteina TDP-43 (TDP-43 proteinopatie)(FTD,PPA,FTD-SLA) ed altre meno comuni proteine come la FUS, CHMP3, VCP.
Demenze Vascolari:
la demenza vascolare era considerata, una volta la maggiore causa di demenza nell’anziano, ma ora si considera in una percentuale che al massimo arriva al 10% dei casi. Alterazioni vascolari ischemiche in zone strategiche, multipili infarti, gravi sofferenze vascolari croniche della sostanza bianca cerebrale (come nella Malattia di Binswanger) emorragie cerebrali possono determinare demenza.
Altre demenze:
Meno Comuni forme di Demenza Degenerative: forme geneticamente determinate, che si associano in genere a disturbi del movimento (Malattia di Huntington; Malattia di Wilson) o dell’equilibrio (Sindrome X Fragile con Temore Atassia) o forme infettive prioniche (Malattia di Creuzfield-Jacob-CJD). Possono infine determinare demenza l’idrocefalo normoteso, l’ipotiroidismo, deficit di vitamina B12.
IL DECALOGO DEI SINTOMI D’ALLARME PER LA MALATTIA DI ALZHEIMER. SE SI NOTA UNO O PIU’ DI QUESTI SEGNI PARLANE CON UN AMICO, UN FAMILIARE OD UN MEDICO (leggi anche: Warning 10 signs of Alzheimer – 2019 Alzheimer’s Association)
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- PERDITA DI MEMORIA CHE INTERFERISCE CON LA VITA QUOTIDIANA Uno dei segni più comuni della malattia di Alzheimer, soprattutto in fase iniziale, è dimenticare le informazioni apprese di recente. Si dimenticano date o eventi importanti, viene fatta la stessa domanda più e più volte, o diventa più necessario affidarsi a supporti di memoria (ad es. promemoria o dispositivi elettronici) od ai membri della famiglia per cose che la persona era solita gestire da sola. Che cos’è invece un cambiamento comune legato all’età? Dimenticare a volte nomi od appuntamenti, ma ricordandoli in seguito.
- DIFFICOLTÀ NELLA PIANIFICAZIONE O RISOLUZIONE DEI PROBLEMI. Alcune persone con demenza possono manifestare cambiamenti nella loro capacità di sviluppare e seguire un progetto o lavorare con i numeri. Potrebbero esserci problemi a seguire una ricetta conosciuta o a tenere traccia di fatture mensili. Potrebbero esserci difficoltà a concentrarsi ed impiegare molto più tempo a fare le cose rispetto a prima. Che cos’è invece un cambiamento comune legato all’età? Fare errori occasionali nella gestione delle finanze o delle bollette domestiche.
- DIFFICOLTÀ A COMPLETARE ATTIVITÀ ABITUALI. Le persone con morbo di Alzheimer spesso hanno difficoltà a completare compiti di routine. A volte possono avere problemi ad organizzare una lista della spesa, a guidare in un luogo conosciuto o ricordare le regole di un gioco preferito. Che cos’è invece un cambiamento comune legato all’età? Occasionalmente c’è bisogno di aiuto per usare le impostazioni del microonde o per registrare un programma TV.
- CONFUSIONE CON IL TEMPO OD UN LUOGO. Le persone con l’Alzheimer possono perdere la cognizione di date, stagioni ed il passare del tempo. Potrebbero avere difficoltà a capire qualcosa se non accade immediatamente. A volte possono dimenticare dove si trovano o come sono arrivati in un luogo. Che cos’è invece un cambiamento comune legato all’età? Confondersi circa un giorno della settimana, ma scoprirlo più tardi.
- PROBLEMI CHE RIGUARDANO IMMAGINI VISIVE E LE RELATIVE RELAZIONI SPAZIALI. Per alcune persone, i problemi di vista sono un segno di Alzheimer. Ci possono essere problemi a giudicare la distanza e determinare il colore od il contrasto, causando problemi con la guida. Che cos’è invece un cambiamento comune legato all’età? Cambiamenti visivi legati alla cataratta.
- NUOVI PROBLEMI NEL PARLARE O NELLO SCRIVERE. Le persone con l’Alzheimer possono avere difficoltà a seguire o partecipare ad una conversazione. Potrebbero fermarsi nel mezzo di un discorso e non hanno idea di come continuare o si ripetono. Possono avere difficoltà con il vocabolario, avere difficoltà a nominare un oggetto familiare od usare il nome sbagliato. Che cos’è invece un cambiamento comune legato all’età? A volte avere problemi a trovare la parola giusta.
- COLLOCAZIONE DI OGGETTI FUORI POSTO E PERDITA DELLA CAPACITÀ DI RINTRACCIARE I PASSI. Una persona con l’Alzheimer può collocare oggetti in luoghi insoliti. Potrebbero perdere delle cose e non essere in grado di risalire i loro passi per ritrovarle. Possono accusare gli altri di rubare, specialmente quando la malattia progredisce. Che cos’è invece un cambiamento comune legato all’età? Spostare di volta in volta le cose e ripercorrere i passaggi per trovarle.
- DIMINUZIONE O PERDITA DI GIUDIUZIO. Le persone possono presentare cambiamenti nella capacità giudizio o nel processo decisionale. Per esempio, possono usare una scelta inappropriata quando si tratta di denaro o prestare meno attenzione alla propria cura od alla pulizia. Che cos’è invece un cambiamento comune legato all’età? Prendere una decisione sbagliata di tanto in tanto, come trascurare di cambiare l’olio in macchina.
- PERDITA DI INIZIATIVA NEL LAVORO OD ATTIVITÀ SOCIALI. Una persona con l’Alzheimer può sperimentare cambiamenti nella capacità di tenere o seguire una conversazione. Di conseguenza, può ritirarsi da hobby, attività sociali od altri impegni. Potrebbero esserci difficoltà a seguire la squadra favorita od un passatempo preferito. Che cos’è invece un cambiamento comune legato all’età? A volte sentirsi disinteressato agli obblighi familiari o sociali.
- CAMBIAMENTI DI UMORE E PERSONALITÀ. Le persone con l’Alzheimer possono maifestare cambiamenti di umore e personalità. Possono essere irritabili in casa, al lavoro, con gli amici o quando si trovano fuori dalla loro ambiente abituale. Che cos’è invece un cambiamento comune legato all’età? Sviluppare modi particolari per fare le cose e diventare irritabili quando una routine viene interrotta
BASI GENETICHE DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER
La maggior parte delle forme di Alzheimer sono “sporadiche” cioè non ereditarie. Tuttavia in una piccola proporzione possono essere geneticamente trasmesse e comunemente, ma non sempre, esordiscono prima dei 65 anni. Mutazioni in tre geni: che codificano per il precursore della proteina della amiloide (APP) del cromosoma 21, per la presenilina-1 (PSEN1) del cromosoma 14 e per la presenilina 2 (PSEN2) del cromosoma 1 determinano forme ereditarie autosomiche dominanti nella terza decade e sono responsabili di circa metà delle forme familiari della malattia di Alzheimer ad esordio precoce. Essi portano ad un aumento di produzione di una proteina neuronale, la βamiloide (Aβ o di una sua porzione, il peptide Aβ42. In altri casi la base genetica si configura in un aumentato rischio di sviluppare la malattia rispetto alla popolazione generale. Il più conosciuto fattore di rischio è legato al polimorfismo β4 del gene APOE sul cromosoma 19. Si tratta di una variante del gene normalmente presente in circa un terzo della popolazione americana non affetta ma si trova nei 2/3 di quelli con malattia di Alzheimer ad esordio tardivo. Una porzione (allele) di APOE con polimorfismoε4 è associato a rischio di Alzheimer aumentato da 2 a 3 volte rispetto alla media generale mentre avere due coppie di alleli è associato ad un rischio aumentato da 5 a 10 volte. Il rischio attribuibile associato ad APOEε4 è di circa il 20%, rendendolo uno dei fattori di rischio più importanti di malattia. E’ stato identificato un rischio minore di malattia di Alzheimer rispetto ad APOEε4 in altri (almeno 20) geni differenti coinvolti nella biologia lipidica, nella elaborazione intracellulare o nelle vie dei lisosomi (es SORL-1) ed altri coinvolti nella infiammazione o nella risposta immunitaria, nella migrazione cellulare, nel citoscheletro, nel trasporto assonale e nella funzione delle cellule infiammatorie microgliali (L.S. Hoing, S.A.Small, R.Mayeux- 2016).
ALTRE DEMENZE FAMILIARI
Si stima che il 40% dei casi di demenza frontotemporale (FTD) sia familiare, ma solo il 10% segue un chiaro schema di trasmissione ereditaria autosomico dominante. Le mutazioni in tre geni rappresentano la stragrande maggioranza dei casi di FTD con una causa genetica identificata. La causa genetica più comune è la mutazione C9ORF72 sul cromosoma 9. Questa mutazione, caratterizzata dalla espansione progressiva attraverso le generazioni di un tratto del DNA, si ritrova anche ne 34% dei casi di SLA familiare e nel 6% di SLA sporadica, il 26% della FTD familiare (con o senza SLA) e il 5% di FTD sporadica. La scoperta di C9ORF72 collega FTD e SLA con molti altri disturbi neurologici che coinvolgono ripetute espansioni del DNA tra cui la malattia di Huntington, la sindrome dell’X fragile, la distrofia miotonica di Steinert e alcune atassie spinocerebellari. Le altre due principali cause genetiche note di FTD sono le mutazioni dei geni MAPT (per la proteina Tau) e GRN. La proteina Tau è una proteina neuronale che si lega ai microtubuli che costituiscono “l’impalcatura” (citoscheletro) del neurone. Essa assume 3 forme differenti dette appunto isoforme. La deposizione di tre tipi di tau è associata alla malattia di Pick, mentre un tipo di tau è associata a CBD e PSP. Il GRN è un oncogene che codifica per la proteina progranulina, che è un fattore di crescita coinvolto nella guarigione delle ferite. Livelli ridotti di granulina sono associati all’FTD, ma livelli elevati di progranulina sono associati a determinati tumori, inclusi teratomi e tumori al seno, all’esofago e al fegato. Altre rare cause genetiche di FTD includono mutazioni del gene TARDBP con depositi della proteina TDP-43, del Gene VCP, del Gene CHMP2B e del gene FUS (E.D Huey, S. Cosentin 2016)
DIAGNOSI DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER
I primi criteri organizzati per la diagnosi clinica della malattia di Alzheimer sono stati stabiliti nel 1984 negli Stati Uniti da uno sforzo congiunto dell’Istituto Nazionale di Disturbi neurologici e comunicativi e ictus e l’Associazione Alzheimer. Questi criteri, i criteri NINCDS-ADRDA, consistevano in tre livelli di certezza: definiti, riservati solo ai casi confermati dall’autopsia, probabili e possibili. I criteri includevano una storia di progressivo deterioramento delle capacità cognitive, non spiegabile da altri disturbi noti, che coinvolge la memoria e almeno un altro dominio cognitivo e che causava alcuni disturbi significativi del funzionamento nel paziente. Questi criteri sono stati approvati dall’American Academy of Neurology nel 2001, con l’aggiunta di test di laboratorio preferiti, come la tomografia computerizzata (TC) o la risonanza magnetica, e test di laboratorio opzionali, come i test sierologici per la sifilide. Tuttavia, nel tempo, è diventato chiaro che questi criteri erano inadeguati a causa dei requisiti di coinvolgimento della memoria, disturbi funzionali e mancanza di riferimento a più moderni e specifici test di imaging biologico e marcatori di fluidi, citati nel testo seguente. Nuove serie di criteri sono state sviluppate per consenso sponsorizzato dal National Institute on Aging e dall’Associazione Alzheimer, e questi criteri NIA-AA forniscono diagnosi preclinica, diagnosi sintomatica precoce senza compromissione funzionale e diagnosi presintomatica.
ESAMI E TESTS DIAGNOSTICI
I test neuropsicologici sono utili per stabilire l’entità del danno cognitivo in termini di capacità specifiche interessate (domini) ed in termini di grado, età, sesso ed istruzione comparabili. Essi possono anche essere molto utili nel seguire la progressione della malattia. Gli esami di del sangue inclusi anche Aβ40, Aβ42 e delle urine sono irrilevanti nella malattia di Alzheimer. LA TAC o risonanza magnetica cerebrale non rivelano anomalie strutturali grossolane diverse dall’atrofia, in particolare all’inizio della malattia e servono per lo più ad escludere forme di demenza vascolare od una condizione di idrocefalo normoteso. Più tardi nella malattia, si osservano tipicamente un’atrofia corticale e subcorticale significativa, sebbene non del tutto specifiche. Le misure delle proteine del liquido cefalorachidiano (CSF) possono essere d’aiuto. Tipicamente nella malattia di Alzheimer, la proteina Aβ42 è diminuita di concentrazione, forse in parte in rapporto alla deposizione di amiloide nel cervello. La proteina tau totale è in genere elevata, in relazione presumibilmente alla neurodegenerazione ed alla perdita di integrità assonale. Anche la tau fosforilata (fosfo-tau) è elevata e specifica per la malattia di Alzheimer perché in questo disturbo la proteina tau è abnormemente fosforilata. Le misure combinate delle concentrazioni di questi tre biomarcatori determinano sensibilità e specificità ciascuna del 90%. I cambiamenti di Aβ42, tau e tau fosforilati possono precedere i sintomi clinici e la diagnosi della malattia talora fino a 15 anni. I test genetici non sono generalmente raccomandati per la diagnosi della malattia di Alzheimer. Tuttavia, i test selezionati possono essere utili nella diagnosi in famiglie con rare forme autosomiche dominanti di insorgenza precoce della malattia di Alzheimer. Per la malattia di Alzheimer sporadica o familiare a insorgenza tardiva, il polimorfismo ε4 del gene apolipoproteina E (APOE) è associato ad un rischio più elevato della malattia, ma poiché una variante del gene è normalmente presente in circa un terzo della popolazione americana con assenza di sintomi anche nella loro decima decade di vita, il test non fornisce sensibilità o specificità sufficienti da usare per la diagnosi e non è raccomandato.
NEUROIMMAGINI
L’imaging del cervello cioè l’insieme delle tecniche strumentali che permettono l’analisi strutturale, funzionale e molecolare dell’encefalo è diventato importante nella diagnosi della malattia di Alzheimer e può aiutare nella diagnosi precoce della malattia oltre ad essere utile negli studi di ricerca in seguito al trattamento della malattia. Le tecniche di imaging strutturale (o morfologico) tra cui TC e RM sono utilizzate per escludere altre cause di demenza, come tumori, ictus, idrocefalo normoteso. In genere, nella malattia di Alzheimer, l’imaging strutturale rivela dilatazione dei ventricoli laterali ed allargamento dei solci corticali, in particolare nelle regioni temporali e parietali. Tale atrofia corticale non è specifica per la malattia di Alzheimer, come si può vedere in alcuni soggetti più anziani che “funzionano” normalmente ai test clinici e neuropsicologici. Durante l’ultimo decennio, sono stati sviluppati approcci di risonanza magnetica per misurare precisi cambiamenti volumetrici nel cervello, e questi possono essere utili nel differenziare la malattia di Alzheimer dalla demenza frontotemporale e sono stati utilizzati nel monitoraggio di terapie con farmaci sperimentali. Le tecniche di imaging cerebrale funzionale includono la tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli (SPECT), la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Sebbene utilizzino tecnologie diverse, le tecniche di imaging funzionale hanno in comune una sensibilità al metabolismo cerebrale: assorbimento del glucosio nel caso del fluorodeossiglucosio-PET 18F o misure del flusso sanguigno strettamente correlate esaminate da 99mTc esametil-propilene-aminoxima (HMPAO) -SPECT o fMRI. Gli studi che utilizzano PET o SPECT rivelano un modello caratteristico di ipometabolismo e ipoperfusione nei lobi parietali temporali e posteriori mesiali, con conservazione della funzione dei nuclei grigio scuro e delle cortecce sensoriali e motorie primarie. Con la risoluzione spaziale superiore offerta dalla fMRI, gli studi hanno iniziato a mappare i modelli di disfunzione nelle sottoregioni cerebrali più piccole del lobo temporale mediale, l’area generale in cui si pensa che inizi la malattia. All’interno della formazione dell’ippocampo, la fMRI ad alta risoluzione ha dimostrato che, a differenza delle prime fasi della malattia di Alzheimer che colpiscono la corteccia entorinale, l’invecchiamento normale coinvolge il giro dentato, una sottoregione ippocampale vicina. Infine, lo sviluppo più recente nell’imaging del cervello è in grado di rilevare le caratteristiche molecolari della malattia di Alzheimer: placche contenenti amiloidi e grovigli neurofibrillari. Il primo di questi reagenti per imaging molecolare per la rilevazione di placche neuritiche in vivo è stato il “composto di Pittsburgh B” (PIB, la cui formulazione chimica è 11C-6-OH-benzotazolo-1), ma attualmente ci sono tre reagenti approvati con marcatura 18F: florbetapir, florbetaben e flutemetamolo, che sono stati tutti dimostrati attraverso studi clinici e di autopsia per mostrare il legame corticale di radioligando nella malattia di Alzheimer. L’assenza di legame corticale è incompatibile con la malattia di Alzheimer. Tuttavia, come ci si potrebbe aspettare per una malattia che inizia con piccole quantità di deposizione asintomatica di Aβ42, una frazione sostanziale di anziani clinicamente normali (ad esempio, circa il 25% di quelli di età superiore ai 65 anni, con proporzioni crescenti nei gruppi di età più avanzata) ha la possibilità sviluppare di sviluppare successivamente la malattia di Alzheimer. Nuovi radioligandi sperimentali per la tau aggregata, così come i reagenti radiofarmaceutici SPECT e PET per esaminare i sistemi dopaminergici, promettono una maggiore disponibilità di biomarcatori avanzati di imaging molecolare che possono aiutare nella diagnosi precoce e nella valutazione della malattia (L.S. Hoing, S.A.Small, R.Mayeux 2016)
TERAPIA ED ASSISTENZA DELLE DEMENZE
Sebbene ad oggi siano in corso numerosi progetti di ricerca per individuare terapie efficaci nella cura della demenza, gli interventi disponibili non sono ancora risolutivi. Le strategie terapeutiche a disposizione sono di tipo farmacologico, psicosociale e di gestione integrata per la continuità assistenziale (ISS settembre 2019).
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER
Le terapie farmacologiche per la malattia di Alzheimer sono attualmente sintomatiche, in quanto non esistono trattamenti comprovati che modificano la malattia. I trattamenti non specifici per i sintomi secondari della malattia di Alzheimer possono essere utili. Questi includono il trattamento della sintomatologia depressiva con antidepressivi inclusi inibitori selettivi del riassorbimento (reuptake) della serotonina. Allo stesso modo, il trattamento dei sintomi psicotici come deliri e allucinazioni, nonché l’agitazione e l’irritabilità possono essere gestiti con un uso moderato di farmaci antipsicotici. Questi farmaci possono produrre infatti effetti collaterali, incluso il parkinsonismo indotto da farmaci. I neurolettici, in alcuni studi ma non in altri, sono stati associati a piccoli aumenti della mortalità legata a vari fattori. Possono anche essere usati ansiolitici come le benzodiazepine, ma sono generalmente evitati per il rischio di peggioramento del quadro cognitivo. Nonostante i potenziali rischi, il trattamento farmacologico dei sintomi comportamentali con i neurolettici può essere di grande aiuto per i pazienti ed i loro caregiver. Al momento sono disponibili alcuni farmaci specifici per la malattia di Alzheimer. Questi farmaci sono sintomatici e non sembrano modificare il decorso della malattia ma hanno ricevuto l’approvazione della Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti per il trattamento specifico della malattia sulla base di studi randomizzati controllati con placebo. Quattro di questi sono inibitori della colinesterasi, che aumentano efficacemente i livelli sinaptici di acetilcolina cerebrale attraverso l’inibizione di un enzima: l’acetilcolinesterasi. La tacrina è stata la prima di questi prodotti, ma non è più di uso per la sua epatotossicità. I tre inibitori della colinesterasi attualmente in uso sono il donepezil, la rivastigmina e la galantamina . L’evidenza è che questi tre hanno un’efficacia lieve simile nel migliorare la cognizione e possono causare anche piccoli miglioramenti nel comportamento e nella funzionalità dei pazienti con malattia di Alzheimer lieve, moderata. Un altro farmaco, la memantina, è stato approvato per il trattamento solo della malattia di Alzheimer da moderata a grave. La memantina è agisce con un meccanismo diverso essendo un antagonista del recettore N-metil-D-aspartato ed offre un modesto beneficio indipendente in termini di cognizione, comportamento ed autonomia nelle persone con malattia da moderata a grave. Questo beneficio si verifica in monoterapia ed in combinazione con inibitori della colinesterasi (L.S. Hoing, S.A.Small, R.Mayeux 2016).
ASSISTENZA NELLA MALATTIA DI ALZHEIMER IN ITALIA (ISS settembre 2019)
Rete dei servizi in ITALIA I Servizi sanitari e socio sanitari censiti per le demenze sono:
- Centri per i Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD) (ex UVA), Servizi deputati alla Valutazione, diagnosi e trattamento dei disturbi cognitivi e demenze. Sono inclusi i Servizi destinatari della Nota 85 AIFA, per la prescrizione di farmaci specifici, istituiti nell’ambito del Progetto CRONOS come Unità Valutative Alzheimer UVA e che, nell’ambito del Piano Nazionale Demenze, sono denominati in modo comune a livello nazionale come CDCD. L’elenco comprende anche servizi/ambulatori in collegamento funzionale con un CDCD principale, attraverso deleghe o articolazioni organizzative delocalizzate del Servizio principale (comunemente denominati sub UVA).
- Centri Diurni/ Centri diurni integrati: Strutture socio sanitarie semiresidenziali, pubbliche e/o convenzionate o a contratto, che accolgono persone con demenza.
- Strutture Residenziali: Strutture sanitarie e socio sanitarie residenziali, pubbliche e/o convenzionate o a contratto, che accolgono persone con demenza.
BIBLIOGRAFIA: -L.S. Hoing: Merritt’s Neurology 13^ edition Cap 11 – Wolters Kluwer ed 2016. –Epidemiologia delle Demenze – Osservatorio demenze dell’Istituto Superiore di Sanità – ISS 2018 –Warning 10 signs of Alzheimer – 2019 Alzheimer’s Association – https://alz.org/alzheimers-dementia/10_signs -L.S. Hoing – S.A.Small-R.Mayeux: Merritt’s Neurology 13^ edition Cap 50 – Wolters Kluwer ed 2016. -E.D Huey S. Cosentin: Merritt’s Neurology 13^ edition Cap 51 – Wolters Kluwer ed 2016 –Assistenza della malattia di Alzheimer in Italia – Istituto Superiore di Sanità 2019